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Tutela degli ecosistemi fluviali: occorre una regia unitaria “ordinaria”.

intervista a andrea agapito ludovici, responsabile "rete e oasi" del wwf italia

Nel Report del WWF “L’ultima goccia”, pubblicato in occasione della Giornata Mondiale dell’acqua 2022, si legge: “Tra acqua e clima c’è un legame pericoloso e inscindibile”. Ci può spiegare il senso di questa affermazione?  E qual è lo stato degli ecosistemi fluviali italiani?

L’acqua rientra nel concetto stesso di clima che è determinato dalle condizioni atmosferiche di una regione nell’arco di un trentennio e quindi dalle temperature e dalle precipitazioni. La temperatura, come è noto, si sta alzando e una delle conseguenze più evidenti è l’arretramento e la scomparsa dei ghiacciai in montagna, ma il cambiamento climatico sta incidendo su tutto il ciclo delle acque. La regione mediterranea sarà sempre più esposta ad ondate di calore prolungate e da minori precipitazioni sempre più concentrate nel tempo con conseguenze che ormai sono sotto gli occhi di tutti. Se a questo aggiungiamo che nell’ultimo trentennio 1991-2020, rispetto a quello precedente, la disponibilità d’acqua nel nostro Paese si è ridotta del 19% (ISPRA 2022), è evidente come sia indispensabile ed urgente avviare un governo sostenibile di questa risorsa.

Negli ultimi mesi l’emergenza siccità ha messo in allarme diversi Paesi europei, e sappiamo quanto sia critica la situazione in Italia. È evidente che occorre intensificare gli sforzi in termini di adattamento ai cambiamenti climatici, ossia nella preparazione e prevenzione delle catastrofi naturali. Eppure si sente ancora poco parlare di tutela della biodiversità dei sistemi fluviali. Nella fretta di trovare soluzioni immediate per superare l’emergenza, rischiamo di peggiorare la situazione nel medio e lungo periodo?

Purtroppo in Italia è estremamente difficile pensare politiche di lungo periodo ed è difficilissimo pianificare. Si propongono sempre soluzioni basate sull’emergenza, parziali, spesso inutili e costose che vengono presentate come facilmente e velocemente applicabili. E’ il caso dell’unica soluzione che è stata proposta, praticamente da tutte le forze politiche, durante questa siccità estiva che è la costruzione di nuovi invasi, grandi e piccoli, come se fossero “la soluzione del problema”; è esemplare come durante questa crisi estiva non c’è stata la capacità di gestire nemmeno gli invasi esistenti: quando ha ricominciato a piovere ci si è accorti che le dighe lombarde avevano ancora 580 milioni di metri cubi stoccati che, almeno una parte, avrebbero potuto  alleviare la sete della pianura. Il WWF ha fatto pressioni da luglio affinchè parte dell’acqua stoccata per gli impianti idroelettrici venisse rilasciata per aiutare la pianura. In parte questo è avvenuto con alcuni rilasci in Valtellina che hanno ridato un po’ d’acqua all’Adda, ma con una gestione più accorta, responsabile e solidale si sarebbe potuto fare di più. Il problema principale è la mancanza di una regia unitaria “ordinaria” che dovrebbe essere lasciata alle Autorità di bacino distrettuale, come previsto dalle direttive europee, affinché possano prevedere gli interventi di adattamento ai cambiamenti climatici e le più adeguate modalità di gestione dell’acqua. Bisognerebbe rivedere anche le quantità d’acqua concesse ai vari utilizzi (idroelettrico, agricolo…) in relazione alle attuali disponibilità e di conseguenza avviare politiche di risparmio e ottimizzazione dell’acqua; ma toccare le concessioni è molto difficile e si preferisce proporre palliativi che non risolveranno nulla. E’ necessario garantire il mantenimento del deflusso ecologico nei fiumi, che non è solo una misura a favore della biodiversità ma è la garanzia per l’uso plurimo delle acque, perché questa condizione permette anche la ricarica delle falde e deve essere funzionale al bilancio idrico complessivo.

“Il problema principale è la mancanza di una regia unitaria “ordinaria” che dovrebbe essere lasciata alle Autorità di bacino distrettuale, come previsto dalle direttive europee, affinché possano prevedere gli interventi di adattamento ai cambiamenti climatici e le più adeguate modalità di gestione dell’acqua"

 Cosa prevede la strategia Europea per la biodiversità riguardo la riqualificazione e riconnessione dei fiumi europei, e quale dovrà essere l’impegno dell’Italia? 

La Strategia Europea per la Biodiversità per il 2030 impegna gli Stati membri a riconnettere e riqualificare 25000 chilometri di fiumi entro il 2030; l’Italia così dovrebbe impegnarsi a recuperare la continuità ecologica di almeno 1600 chilometri rimuovendo ostacoli come briglie, traverse e dighe! Purtroppo mentre in Europa sono state rimosse oltre 100 tra dighe in questi ultimi anni ed altre sono in programma, in Italia si pensa a farne di nuove. L’unico progetto controtendenza che è in corso, inserito nel PNRR, è la rinaturazione del Po con uno stanziamento di 357 milioni. Si tratta di un progetto a scala di bacino, che coinvolge Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna e Veneto, e che prevede numerosi interventi per ripristinare le lanche del fiume, riforestare, intervenire sulle specie alloctone e ridurre i pennelli di navigazione per la riattivazione dei rami laterali del Po. Il progetto è stato proposto da WWF insieme ad ANEPLA, l’associazione di cavatori di Confindustria, al Ministro della Transizione ecologica che l’ha fatta propria e inserita nel PNRR. 

 

 

 

 

 

 

“Purtroppo mentre in Europa sono state rimosse oltre 100 tra dighe in questi ultimi anni ed altre sono in programma, in Italia si pensa a farne di nuove. L’unico progetto controtendenza che è in corso, inserito nel PNRR, è la rinaturazione del Po con uno stanziamento di 357 milioni"

La situazione è indubbiamente complessa. Carenze infrastrutturali, atavica mala gestione di fiumi, laghi e torrenti, esigenze delle attività produttive, vincoli ecosistemici: non sarà facile trovare una sintesi. Mai come in questo momento è necessario fare “rete”, per condividere diverse competenze e conoscenze. Siamo pronti ad avviare questo dialogo costruttivo?

Purtroppo sembra che le istituzioni non siano coscienti della complessità e soprattutto dell’urgenza del problema. E’ necessaria una articolata politica per favorire l’adattamento ai cambiamenti climatici. In una situazione così complessa e con importanti sfide da affrontare è innanzitutto necessario garantire una regia unitaria per il governo dell’acqua e ridare centralità alle Autorità di bacino distrettuali, come peraltro previsto dalla Direttiva Quadro Acque (2000/60/CE). E’ fondamentale che la pianificazione a livello di bacino sia rispettata e che le Autorità distrettuali possano anche definire la programmazione prioritaria a livello di bacino, come è stato previsto per un breve periodo (Schemi previsionali programmatici); le Regioni, infatti, che hanno assunto un ruolo predominante dal 2009/2010 nella gestione del dissesto idrogeologico, hanno fallito facendo perdere la visione di bacino idrografico e contribuendo ad aumentare la vulnerabilità del territorio. Le Autorità di distretto devono poter redigere o aggiornare i bilanci idrici per verificare l’effettiva disponibilità idrica e di conseguenza ridefinire un quadro di concessioni d’uso dell’acqua adeguato all’attuale situazione e che consenta di garantire il deflusso ecologico. Inoltre è necessario agire con rapidità durante i periodi di crisi idrica, attraverso principi di solidarietà e sostenibilità, favorendo un’equa ridistribuzione dell’acqua tra i vari comparti concessionari (agricolo, industriale, idroelettrico, civile, ambientale). 

 

 

“E’ necessario garantire il mantenimento del deflusso ecologico nei fiumi, che non è solo una misura a favore della biodiversità ma è la garanzia per l’uso plurimo delle acque, perché questa condizione permette anche la ricarica delle falde e deve essere funzionale al bilancio idrico complessivo"

E’ indispensabile fare una scelta decisa verso una gestione basata sul recupero della resilienza ambientale attraverso interventi di ripristino ambientale e dei servizi ecosistemici, promuovendo una rinaturazione diffusa e Nature Based Solutions, favorendo progetti di sistema come quello di rinaturazione del Po. Va, inoltre, generalizzata l’adozione di misure mirate all’incremento della funzionalità ecologica dei territori agrari e della loro capacita di trattenere e far infiltrare le acque meteoriche e prevenire il degrado dei suoli anche attraverso misure specifiche da inserire nei Piani di sviluppo rurale. Deve essere promosso il risparmio idrico in agricoltura, promuovendo tutte le azioni capaci di migliorare l’efficienza d’uso dell’acqua naturale ed irrigua, possibilmente mantenendo o migliorando la resa, la qualità e il reddito dell’azienda agricola.E’ necessario porre fine alle scandalose perdite della rete di distribuzione idrica che disperde circa il 42% dell’acqua; il PNRR ha previsto fondi, ancora però insufficienti, che dovrebbero essere integrati anche dai gestori delle reti. Infine, ci sono utilizzi di cui si potrebbe fare a meno, soprattutto in un’ottica di adattamento ai cambiamenti climatici: è ora di pensare ad uno sviluppo diverso del turismo in montagna che si basa ancora in larga parte sullo sci e sull’innevamento artificiale. I ghiacciai si ritirano e la neve scarseggia da parecchi anni, ma gli impianti da sci si sviluppano ancora dai 1000/1500 metri in su e la stagione sciistica si protrae fino a maggio. Non è possibile sottrarre milioni di metri cubi (da 5 a 8) d’acqua ogni anno per questo tipo di pratiche. Adattarsi vuol dire anche abbandonare o ridurre attività non più sostenibili. In ogni caso si potrebbe iniziare a non incentivarle ulteriormente e avviare seri programmi di sviluppo alternativo nelle aree montane.

 

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ANDREA AGAPITO LUDOVICI

biologo, esperto di acque dolci e rinaturazione, responsabile Dipartimento "Oasi e Reti" del WWF Italia

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