intervista a ezio daniele, presidente di assoimballaggi e amministratore delegato della imballaggi valtanaro spa
Le foreste sono una “barriera naturale” contro i cambiamenti climatici, in termini di immagazzinamento delle emissioni climalteranti, migliore qualità dell’aria, conservazione della biodiversità, prevenzione del dissesto idrogeologico. La buona notizia è che in Italia la superfice boschiva è praticamente raddoppiata rispetto ad un secolo fa. Quella meno buona è che il nostro Paese è carente nella gestione sostenibile del patrimonio forestale nazionale. In piena transizione ecologica, quali misure sarebbero auspicabili?
Negli ultimi 50 anni il patrimonio forestale italiano è fortemente cresciuto, tanto che la sua estensione (circa il 37% del territorio nazionale) ha superato quella agricola. Allo stesso tempo, però, ci troviamo in una situazione quasi paradossale, dacché il nostro Paese importa circa l’80% del legno che utilizza. Questa considerazione ha due implicazioni. La prima è di ordine ambientale, poiché stiamo assistendo ad un preoccupante abbandono e degrado di ampie aree boschive. La seconda è di carattere economico. Il nostro patrimonio forestale rappresenta una risorsa economica molto importante, ma non adeguatamente valorizzata. Se opportunamente supportata a livello normativo, avrebbe un impatto positivo sulla bilancia commerciale e forti ricadute occupazionali. Dovremmo prendere esempio da Paesi come l’Austria e la Svezia, grandi operatori del settore, che da oltre 50 anni quando tagliano una pianta e ne ripiantano almeno tre. Questo garantisce la resilienza delle foreste e, alle future generazioni, risorse boschive superiori a quelle utilizzate. Ciò detto, per un vero cambio di passo a livello nazionale occorre una strategia a lungo termine, indispensabile per incentivare i privati ad investire nel settore. Mi spiego meglio: una conifera, ad esempio un abete, impiega 40 anni prima di diventare utilizzabile. Quindi, quando si vanno a programmare interventi legislativi sul comparto, non si può non tenere conto di questi fattori. Al riguardo, sarebbe auspicabile un piano di incentivi per il settore, sotto forma di crediti ambientali alle aziende che investono oppure di agevolazioni fiscali.
"Un’evidente contraddizione sta nel fatto che l’Italia, pur avendo a disposizione un grande potenziale forestale, importa la maggior parte del legno proprio da Paesi che non rispettano le nostre regole ambientali. Così facendo contribuiamo ai processi di deforestazione e arrechiamo anche un danno al nostro sistema produttivo"
Una corretta “gestione del legno” potrebbe anche contribuire a sostituire l’utilizzo di prodotti di origine fossile e maggiormente inquinanti: penso alla plastica, al cemento, agli isolanti. Da questo punto di vista, serve una politica forestale adeguata. In merito a ciò, cosa possiamo suggerire al nuovo Parlamento?
Il legno è la prima fonte green, rinnovabile e sostenibile di cui disponiamo, e potrebbe svolgere un ruolo fondamentale nella transizione ecologica. Uso il condizionale, poiché riscontro una persistente mancanza di confronto con il mondo produttivo del legno, che genera distorsioni nel mercato e ci allontana da raggiungimento della sostenibilità ambientale. Detto in altro modo: è inutile che piantiamo una robinia se il mercato richiede abete e pioppo. La più grande segheria austriaca da sola taglia più metri cubi di tutte le segherie Trentine. Quando nel 2018 la tempesta Vaia distrusse milioni di metri cubi di bosco in Veneto e in Trentino, una parte importante di queste piante sono state acquistate dalle vicine segherie austriache, che le hanno lavorate e poi ce le hanno rivendute, dando loro il valore aggiunto al nostro legno. Si tratta di un paradosso che la politica italiana non riesce ancora a cogliere. Occorre ripensare e valorizzare tutto il comparto della trasformazione del legno, che va dalla buona gestione degli alberi, alla lavorazione dei tronchi, fino a tutta la filiera del legno. Siamo in piena “transizione ecologica”, se vogliamo sostituire tanto la plastica, quanto l’acciaio o il calcestruzzo, l’alternativa più “green” è senza dubbio il legno. I “prodotti del legno” porteranno enormi benefici nella lotta ai cambiamenti climatici. Ma, ripeto, la filiera deve essere considerata nel suo insieme, altrimenti il sistema non funziona. Un’evidente contraddizione sta nel fatto che l’Italia, pur avendo a disposizione un grande potenziale forestale, importa la maggior parte del legno proprio da Paesi che non rispettano le nostre regole ambientali. Così facendo contribuiamo ai processi di deforestazione e arrechiamo anche un danno al nostro sistema produttivo. Da questo punto di vista, bisogna fare di più anche in termini di certificazioni ambientali del legno. Mi auguro che con il nuovo Parlamento e Governo ci possa essere un cambio di passo.
"riscontro una persistente mancanza di confronto con il mondo produttivo del legno, che genera distorsioni nel mercato e ci allontana da raggiungimento della sostenibilità ambientale"
Il legno è anche una fonte di energia rinnovabile. Come può il settore contribuire ad affrontare la crisi energetica del Paese?
Il settore nel quale opero “IMBALLAGGI IN LEGNO” è già un esempio virtuoso di economia circolare. Grazie al consorzio Rilegno recuperiamo e ricicliamo oltre il 65 % dei prodotti immessi sul mercato, parliamo di quasi 2.000.000 di tonnellate. Ripeto, il legno è la soluzione più rinnovabile, riciclabile e versatile di cui disponiamo per ridurre le emissioni climalteranti. Il mercato delle costruzioni in bioedilizia è un settore in forte espansione, e potrà dare un grande contributo in termini di sostenibilità a livello nazionale. L’Italia, nonostante abbia un terzo della propria superficie ricoperta da foreste, è il più grande importatore europeo di legna da ardere. C’è qualcosa che non va in questa logica. Occorre avere una precisa mappatura delle nostre foreste e pianificare gli obiettivi da raggiungere, dando la certezza agli operatori che faranno investimenti di avere quantità boschive sufficienti.
"Questo è un Paese dove è difficile fare tutto. Viviamo nel timore che qualche disonesto possa trarre benefici e, per scovare qualche disonesto, abbiamo creato meccanismi burocratici che vanno a scoraggiare gli investitori. Ergo, per realizzare una vera sburocratizzazione nel settore delle rinnovabili, il legislatore deve prima di tutto cambiare approccio mentale"
Lei è anche un produttore di energie rinnovabili. Molti operatori lamentano l’inefficacia delle semplificazioni finora messe in atto, tanto dal punto di vista delle autorizzazioni quanto rispetto all’accesso agli incentivi. Qual è la sua esperienza in questo settore?
Questo è un Paese dove è difficile fare tutto. Viviamo nel timore che qualche disonesto possa trarre benefici e, per scovare qualche disonesto, abbiamo creato meccanismi burocratici che vanno a scoraggiare gli investitori. Ergo, per realizzare una vera sburocratizzazione nel settore delle rinnovabili, il legislatore deve prima di tutto cambiare approccio mentale. Ci sarà sempre chi cercherà di aggirare le norme per trarre degli indebiti benefici, ma la maggior parte degli imprenditori sono persone oneste che lavorano rispettando le regole. In questo momento storico l’autosufficienza energetica è una priorità e sulle rinnovabili l’Italia deve accelerare. Con i prezzi attuali dell’energia non è difficile trovare imprenditori disposti a fare importanti investimenti, ma servono regole certe e snelle. La mia famiglia ha già investito molto e stiamo pianificando ulteriori investimenti. Spetta alla politica il compito di mettere in condizione gli imprenditori di investire.
